FANTASIE RUSSE

Propongo un breve testo pubblicato il 1 settembre 2022 sulla mia pagina Facebook dove ha riscosso qualche interesse da parte dei lettori. Non si tratta di una analisi ma di un “flusso di coscienza” originato da una recente visita a Mosca.

A quanto pare il comodo volo diretto Marconi Sheremtyevo aiutava in qualche misterioso modo Putin a invadere l’ Ucraina, e quindi ora: scalo a Monaco di Baviera, Helsinki, un giorno in autobus con pupo che smania e alla fine: Russia.

Di solito quando scrivo di Russia parlo di cose che succedono, mentre qui voglio raccontare solo delle impressioni e delle suggestioni, a cui, badate, non intendo attribuire alcuna particolare pretesa di verità. Ammetto che altre persone potrebbero, con argomenti ugualmente buoni, trarre dalla mia esperienza conclusioni del tutto opposte. Potrebbe, in definitiva, trattarsi di fantasie disordinate e senza capo né coda: in ogni caso ve le presento come tali.

So che a molti parrà strano, forse quasi folle, ma per me Russia significa libertà. Sarà per quell’ orizzonte così lontano, o per quel cielo così basso, che ti danno l’ impressione che le strade si perdano in uno spazio infinito. Sarà per quelle facce su cui affiora immediatamente ogni pensiero. Sarà per la disposizione delle cose nello spazio, che sembra sempre un po’ casuale, comunque provvisoria, nell’ aria rarefatta. Entro in Russia e mi viene da respirare profondo: sento che qui, per alcuni versi, ho qualcosa che non ho a casa.

E del resto questa potente sentimento di anarchia alla base non si contraddice affatto con l’ autoritarismo al vertice, anzi a ben vedere le due cose si giustificano vicendevolmente. Che non è un pensiero mio, sia chiaro, ma di un certo Nikolaj Berdjaev: “le caratteristiche del popolo russo, le quali si contraddicono reciprocamente, possono essere così riassunte: da un lato, dispotismo ed ipertrofia dello stato, dall’ altro, anarchismo e sregolatezza; da una parte crudeltà ed inclinazione alla violenza, dall’ altra benevolenza umanità e gentilezza”. Una tensione che sprigiona gioia o magari più spesso dolore, ma comunque vita. Anime per tre mesi all’ anno nella notte e per tre mesi nella luce, che pulsano di fronte alla nostra società, sempre più abbandonata al compromesso e all’ apatia.

Per come la vedo io, quindi, la Russia dispone di un giacimento che ci servirebbe come e più degli altri, ben noti alle cronache: quello di un’ umanità che funziona su parametri diversi e complementari. Non per accumulazione, ma per dispersione (cit. Maurizio Carta), non coltivando solo le idee nate da uova deposte dai serpenti negli acquitrini della materia, ma innamorandosi del concetto, e ingaggiando una lotta disperata contro il mondo perché vi si adegui.

Mi pare, in sostanza, che non siano solo ortodossia e cattolicesimo ed essere, come disse Giovanni Paolo II esattamente 26 anni fa (angelus del 1 settembre 1996), i due polmoni con cui respira la testimonianza cristiana, ma proprio le nostre società e la loro a calibrarsi vicendevolmente con un legame che per secoli ha impedito a quella di incendiare il mondo con i propri slanci, ed a queste di affondare moralmente disintegrandosi in un gorgo di autoreferenzialità.

La pietra dello scandalo ed insieme il big bang del pensiero politico russo, Petr Chadaev, seguì un percorso intellettuale che partiva (1836) da una denuncia della irrimediabile mancanza di baricentro intellettuale: “nelle nostre case abbiamo l’aria di essere accampati, nelle nostre famiglie abbiamo l’ aria di essere stranieri; nella nostra città abbiamo l’ aria dei nomadi, più nomadi persino di quelli che vagano nelle steppe”. In seguito (resipiscenza incoraggiata dalle autorità zariste con un benevolo internamento) parve intuire che l’ imperativo geografico del suo paese fosse non tanto trovare un baricentro, ma costituire piuttosto il baricentro del resto d’ Europa aprendo la strada verso il futuro (“lasciamoli lottare con il loro inesorabile passato. Noi non siamo mai vissuti sotto il dominio delle necessità storiche”).

In una delle sere che ricordo con maggiore piacere della mia visita un Italiano Pietroburghese (ciao Jury Siciliano !) mi ha detto: qui sto bene, fra gente normale. Non c’è stato davvero bisogno di spiegarsi per capire cosa intendesse. In qualche modo la società russa sembra, almeno a livello emotivo, offrire un antidoto contro il tarlo che ci rende monadi impazzite ciascuna all’ inseguimento dei propri bisogni. In sostanza qui trovo ordine e disordine assieme e, per un paradosso assai curioso, mi pare che a noi manchino entrambi.

Abbiamo bisogno della Russia. Ma, proprio come Evgenj Onegin, fantastica rappresentazione letteraria dei nostri difetti senza tempo, siamo troppo presi ad ammirarci e a scrutare le reazioni che hanno sugli altri i nostri rifiuti, compiacendoci della delusione o della disperazione che ci pare provochino, per potercene rendere conto prima che sia troppo tardi.

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